- 9 Agosto 2025
- Posted by: Dott. Edoardo Rivola
- Categoria: P.A. e Organismi partecipati

Le società miste non possono partecipare a gare pubbliche e per il controllo societario è sufficiente far riferimento alla mera sommatoria di partecipazioni pubbliche: Consiglio di Stato, sent. del 17 giugno 2025, n. 5289.
Abstract.
I temi fondamentali affrontati dal Consiglio di Stato il quale ha preso posizioni molto forti sono essenzialmente due. IL primo attiene alla configurazione del controllo pubblico mentre il secondo alla possibilità per le società miste di partecipare a gare pubbliche, da chiunque indette. Sul primo argomento il CdS afferma che in virtù del combinato disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2, comma 1, del TUSP, vanno qualificate come “società a controllo pubblico”, senza eccezioni, tutte quelle in cui “una o più amministrazioni pubbliche” dispongano della “maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”, ai sensi dell’art. 2359 c.c. Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie delle “società a controllo pubblico”, rilevante per definire l’ambito di applicazione, soggettivo e oggettivo, di alcune disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, è necessario, ed è anche sufficiente, che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 cod. civ.
Sul secondo argomento, sempre il CdS, sottolinea che una volta costituita, la società mista non vive di vita propria ma resta funzionalmente collegata in via esclusiva allo scopo della sua costituzione, indicato nel bando, che ne delimita la capacità giuridica e di agire, precludendole la possibilità di partecipare a gare che esulano dalla finalità istitutiva della stessa in quanto estranee allo scopo dei soci pubblici che ne hanno promosso l’istituzione, delimitandone il campo di azione”.
*
La posizione del Consiglio di Stato per quanto attiene alla questione del controllo
In linea di principio, il D.lgs. n. 175/16 (TUSPP) sottolinea una sostanziale “privatizzazione della gestione” delle società partecipate dalla P.A., limitando alle sole controllate l’assoggettamento a stringenti vincoli di finanza pubblica, per lasciare essenzialmente “libere” le prime di porsi sul mercato in modo competitivo. Sulla conduzione delle “semplici” partecipate, infatti, il TUSPP non prevede particolari condizionamenti, diversamente da quanto avviene per le controllate: dalla nomina e dai compensi degli amministratori (art. 11), alle assunzioni che debbono avvenire a esito di selezioni pubbliche (art. 19), all’obbligo di allinearsi agli obiettivi sui costi dettati dalle controllanti, fino alla prevenzione e al monitoraggio dei programmi per la valutazione del rischio di crisi di impresa (artt. 6 e 14), ecc..
Sebbene il TUSP preveda, all’art. 1, che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel Codice civile e le norme generali di diritto privato”, vi sono, in realtà, altre norme speciali di natura vincolistica che condizionano l’operatività delle imprese in controllo pubblico disseminate nel mondo del diritto, quali: il D.lgs. n. 36/2023, per quanto concerne gli appalti e i contratti; la Legge n. 190/ 2012, da cui discendono una serie di obblighi in tema di prevenzione della corruzione e di trasparenza; le disposizioni del D.lgs. n. 231/2007 in materia di antiriciclaggio, per la parte destinata alle Pubbliche Amministrazioni[1].
La questione del perimetro del controllo pubblico, in definitiva, assume particolare rilevanza per le ragioni evidenziate sopra e per gli effetti che discendono dall’esservi ricompresi o meno.
In estrema sintesi, si sono consolidate nella giurisprudenza due posizioni diametralmente opposte, una che ritiene imprescindibile uno “scambio formale di volontà fra i soggetti coinvolti non potendosi desumere la situazione di controllo da meri comportamenti concludenti o da altri “indici presuntivi” (si veda Corte dei conti, SS. RR., sent. n. 17/2023 che richiama Cons. Stato n. 578/2019 e n. 1564/2020; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 marzo 2023, n. 3157, TAR Veneto n. 363/2018; TAR Marche n. 695/2019 e Corte dei conti, SS. RR. in spec. comp., sentt. nn. 16/2019; 17/2019; 25/2019).
L’altra corrente interpretativa ha ritenuto sussistente una situazione di controllo pubblico congiunto in tutti i casi di capitale pubblico maggioritario indipendentemente dalla formalizzazione di meccanismi di coordinamento tra soci pubblici. Si richiama, al riguardo, la deliberazione n. 11/SSRRCO/QMIG/19 delle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei Conti alla quale si è allineata la Corte dei Conti (vedi da ultimo Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per le Marche, Deliberazione del 22 maggio 2025, n. 62).
Rispetto alle due posizioni interpretative richiamate, il MEF, Struttura di controllo e monitoraggio, con l’atto di orientamento del 15 febbraio 2018 si è espresso collocandosi nel mezzo, facendo riferimento ai “comportamenti paralleli”, quale modalità alternativa a quella dell’accordo attraverso cui è possibile realizzare (e dimostrare) il controllo congiunto da parte di una pluralità di pubbliche amministrazioni.
Tale ultimo orientamento ha trovato sponda nella sentenza del Consiglio di Stato, n. 3880 del 9 febbraio 2023, che fa riferimento ai “comportamenti paralleli”, quale modalità alternativa a quella dell’accordo attraverso cui è possibile realizzare (e dimostrare) il controllo congiunto da parte di una pluralità di pubbliche amministrazioni tutte titolari di una parte del capitale sociale.
Lo stesso Consiglio di Stato, Sez. V, 28 marzo 2023, con sentenza n. 3157 si è espresso, al contrario, sulla necessità di un coordinamento tra soci pubblici.
In particolare, nella sentenza citata il Consiglio di Stato si preoccupa di “evitare una estensione indebita della situazione di “dipendenza” rispetto all’ente partecipante (declinata in termini funzionali e non strutturali), e di dilatare oltre il lecito la disciplina pubblicistica rispetto a quella che, salvo eccezioni, regola la vita della società (arg. ex art. 1, comma 3 d. lgs. n. 175/2016)” considerando necessario individuarne in modo rigido limiti e condizioni.
Si tratta in buona sostanza di tre posizioni ben distinte, prive di un minimo comune denominatore e in generale, l’orientamento recente del Consiglio di Stato ha oscillato tra necessità di accordi formalizzati e comportamenti concludenti e la posizione che vede sufficiente la mera somma di partecipazioni pubbliche è espressa essenzialmente da alcune sezioni regionali della Corte dei Conti.
Nel mese scorso, il Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza del 17 giugno 2025, n. 5289 ha rafforzato, consolidandolo, l’orientamento più restrittivo richiamato affermando che “ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettere b) ed m), del d. lgs. n. 175/2016 (cd. TUSP) e dell’art. 2359 del codice civile, sono società miste “a controllo pubblico” anche quelle “a controllo pubblico frazionato” in cui i soci pubblici dispongono complessivamente, in assemblea ordinaria, della maggioranza dei voti previsti dall’art. 2359, anche se la quota del socio privato è superiore alla quota di ciascun singolo socio pubblico, anche se mancano specifici patti parasociali o vincoli statutari e anche se il socio privato nomina l’amministratore delegato. Quanto affermato trova fondamento nel chiaro dettato normativo derivante dal combinato disposto delle norme sopra richiamate”.
In virtù del combinato disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2, comma 1, del TUSP, vanno qualificate come “società a controllo pubblico”, senza eccezioni, tutte quelle in cui “una o più amministrazioni pubbliche” dispongano della “maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”, ai sensi dell’art. 2359 c.c. Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie delle “società a controllo pubblico”, rilevante per definire l’ambito di applicazione, soggettivo e oggettivo, di alcune disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, è necessario, ed è anche sufficiente, che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 cod. civ.
La legge contempla, come ipotesi tra loro alternative e incondizionate, quella per cui la predetta maggioranza dei voti debba essere garantita da “una” o “più amministrazioni pubbliche”, anche in assenza di vincoli giuridici di coordinamento.
Da ora in poi, visto il consolidarsi dell’orientamento più restrittivo da parte del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, motivato in ragione della volontà di non far discendere l’applicazione delle disposizioni vincolistiche sul controllo pubblico dalla volontà/capacità delle P.A. socie di trovare accordi formali sulle decisioni che incidono sulla vite degli organismi societari partecipati, appare arduo ritenere le società miste a maggioranza di capitale pubblico, seppur frazionato, non controllate e quindi escluse dall’applicazione della complessa disciplina vincolistica prevista nel caso di “controllo pubblico”.
La posizione del Consiglio di Stato per quanto attiene alla questione della partecipazione delle società miste a gare pubbliche.
Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la già citata sentenza del 17 giugno 2025, n. 5289 afferma che “Vi è dunque una chiara funzionalizzazione dell’oggetto sociale della società mista – e quindi dell’ambito della sua stessa capacità giuridica e di agire rispetto allo specifico servizio per il quale la stessa è stata costituita e nel quale rinviene in via esclusiva la propria ragione d’essere – anche dal punto di vista causale.
Una volta costituita, la società mista non vive di vita propria ma resta funzionalmente collegata in via esclusiva allo scopo della sua costituzione, indicato nel bando, che ne delimita la capacità giuridica e di agire, precludendole la possibilità di partecipare a gare che esulano dalla finalità istitutiva della stessa in quanto estranee allo scopo dei soci pubblici che ne hanno promosso l’istituzione, delimitandone il campo di azione”.
In definitiva, sia il criterio della interpretazione letterale, che quello teleologico, che quello storico (in relazione all’evoluzione delle norme succedutesi nel tempo) forniscono al Consiglio di Stato ampi e solidi argomenti per giungere alla conclusione che l’art. 17 del TUSP preclude alle società miste la partecipazione ad altre gare, anche se indette da enti non soci.