- 30 Aprile 2023
- Posted by: Dott. Edoardo Rivola
- Categoria: P.A. e Organismi partecipati
Le aperture alle Fondazioni offerte dal Decreto sui servizi di interesse economico generale e dal nuovo Codice degli appalti
Le aperture alle Fondazioni offerte dal Decreto sui servizi di interesse economico generale (D.Lgs n.201/2022) e dal nuovo Codice dei contratti ( D.lgs n.36/2023)
Per lungo tempo dal punto di vista legislativo, l’unica norma che dispone in materia di affidamenti di servizi a favore di fondazioni è rappresentata dall’art. 4, comma 6, Legge n. 135/2012, c.d. “Spending Review”[1].
A ben vedere, la disposizione da un lato pone l’obbligo a carico delle PP.AA., anche locali, di acquisire sul mercato qualsiasi tipologia di servizio, dietro pagamento di corrispettivo, mediante procedure conformi ai principi dell’ordinamento comunitario, come disciplinati dalla normativa nazionale, vietando di fatto il ricorso ad associazioni e fondazioni.
Essa incide, dunque, sulla scelta, da parte degli Enti locali, dei modelli per la gestione dei servizi strumentali impedendone, di fatto, l’affidamento diretto. Il riferimento operato dal citato art. 4 comma 6 alle “procedure previste dalla normativa nazionale” è da intendersi, attualmente, al Codice degli appalti.
L’entrata in vigore, a far data dal 31 dicembre 2022, del D.Lgs 201/2022 recante il “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” inserisce un tassello fondamentale per la disciplina dei servizi di interesse economico generale e le Fondazioni (e più in generale per il Terzo Settore), abrogando, tra gli altri, gli articoli 112, 113 e 117, del Testo Unico Enti Locali (Dlgs 267/00) ovvero le norme che fino ad oggi sono state il punto di riferimento primario per la scelta delle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali a rete e non e per la disciplina delle tariffe. Oggi, dunque, l’intera disciplina sui servizi pubblici di interesse economico è contenuta in tale decreto.
Il “riordino” individua vari moduli per la gestione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica, nell’ambito di uno schema classificatorio che valorizza il ricorso al mercato e consolida l’attenzione per gli organismi societari, limitando il ricorso a forme organizzative diverse.
L’articolo 14 del D.lgs 201/2022, che disciplina la scelta delle forme di gestione del servizio pubblico locale (oggi servizi di interesse generale) di rilevanza economica, individua le varie soluzioni che possono essere: affidamento a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica, affidamento a società mista, affidamento a società in house, e limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, gestione in economia o attraverso aziende speciali. Un set di soluzioni ampio ma comunque configurato secondo un’impostazione a numero chiuso.
La fondazione, dunque, in generale, non essendo annoverata espressamente potrà ottenere la gestione di un servizio di interesse economico generale ai sensi dell’art.14 comma 1 lett a) e articolo 15, ovvero soltanto mediante procedura ad evidenza pubblica.
Il recente decreto offre comunque un’importante apertura al Terzo settore, di cui fanno parte a pieno titolo anche le Fondazioni (Articolo 4 del Codice del Terzo settore): l’articolo 18 del D.lgs. n. 201/22 prevede che gli enti locali possano attivare con questi rapporti di partenariato per la realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento funzionalmente riconducibili al servizio pubblico locale (non a rete) di rilevanza economica.
La norma in commento estende pertanto anche al servizio pubblico locale di rilevanza economica l’utilizzo della co-progettazione, della co-programmazione e dunque del partenariato pubblico privato come modalità tipica di attivazione di rapporti collaborativi fra P.A. ed Enti del Terzo Settore (ETS).
Ciò in base a quanto previsto dall’art. 8, comma 2, lettera o), della legge n. 118 del 2022 – Legge Concorrenza – che, fra i principi e i criteri direttivi della delega, prevede la razionalizzazione dei rapporti tra la disciplina dei servizi pubblici locali e quella per l’affidamento dei rapporti negoziali di partenariato contemplata nel Codice del Terzo settore (D.Lgs 117/2017- Codice terzo settore), in ossequio agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale ed in particolare la Sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 che traccia i confini della procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria espressa negli articoli da 55 a 57 Codice terzo settore[2]. La Corte evidenzia, tra l’altro, che “lo stesso diritto dell’unione … mantiene, a ben vedere, in capo agli stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà”.
In particolare rileva, quanto alle Fondazioni, l’articolo 55, del D.Lgs 117/2017 (Codice del Terzo Settore, Cts) .
Questa disposizione si occupa degli accordi di co-programmazione e di co-progettazione precisando che devono essere attivati nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Si tratta di istituti che possono essere conclusi fra qualsiasi ente del Terzo settore e la pubblica amministrazione e possono avere ad oggetto qualsiasi attività di interesse generale e per effetto del D.Lgs 201/2022 anche, espressamente, di rilevanza economica.
Essi sono finalizzati “alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”, alla luce degli strumenti di co-programmazione.
L’oggetto dell’accordo di co-progettazione, quindi, è delineato all’interno di un procedimento amministrativo nel quale vi è sia “convergenza di obiettivi”, sia “aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi”.
In particolare, l’aggregazione di risorse può avvenire, dal lato pubblico, attraverso contributi di cui all’art. 12 della legge n. 241 del 1990 e, dal lato degli Ets, attraverso contributi economici, beni immobili o mobili, opere dell’ingegno, ecc.
Pertanto, gli accordi hanno un certo tasso di atipicità intrinseca, nel senso che rispondono alle esigenze emergenti da ciascun tavolo di co-progettazione: le singole clausole “creano”, di volta in volta, un reticolo di diritti, obblighi, facoltà, ecc. in relazione all’obiettivo da conseguire [3].
L’apertura del decreto sui servizi di interesse generale, per inciso, al terzo settore si estende anche ulteriormente a specifiche forme di enti (non alle Fondazioni): le organizzazioni di volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (APS) ovvero a quanto stabilito dagli articoli 56 e 57 del Codice del Terzo Settore che disciplinano rispettivamente le convenzioni per lo “svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale” anche se solo se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato e convenzioni per il trasporto sanitario di emergenza-urgenza.
Presuppongono che sia la pubblica amministrazione a definire l’oggetto del possibile accordo, ad indire una selezione e a scegliere, sulla base di procedure comparative, l’ente o gli enti con i quali sottoscrivere l’accordo.
Le organizzazioni di volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (gli APS), quindi, partecipano a tali procedure e la selezione avviene sulla base dei criteri indicati negli atti di indizione.
Le stesse convenzioni devono rispondere ad una serie di requisiti obbligatori, sanciti dalla legge. Quindi, nelle convenzioni è la pubblica amministrazione che definisce le modalità di intervento, lasciando gli aspetti attuativi agli Enti del Terzo Settore.
Anche se si prescrive agli enti locali che intendano sottoscrivere convenzioni con associazioni di volontariato o di promozione sociale di “motivare” la maggiore convenienza dello strumento convenzionale rispetto al ricorso al mercato.
Nella co-progettazione, invece, aperta anche alle Fondazioni (ed a tutti i soggetti del Terzo Settore-art.55 Cts) la Pa individua “bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione”, ma la costruzione degli interventi è rimessa alla responsabilità congiunta di Terzo settore e Pa,
Pertanto, le modalità di erogazione dei servizi di interesse generale sono riconducibili a diverse tipologie di affidamento, disciplinate da un lato dal Codice degli appalti e dall’altro dal Codice del Terzo settore.
In particolare, a questo punto occorre chiarire il tratto distintivo fra l’attivazione di un rapporto collaborativo, ai sensi del richiamato Cts, e l’affidamento di un contratto pubblico, per l’esecuzione di servizio in appalto, su disposizione di un ente pubblico, come tale regolato dal Codice appalti.
Laddove siano utilizzabili entrambe le modalità per lo svolgimento di un servizio o la realizzazione di un’attività il Codice degli appalti si applica ai soli casi in cui le stazioni appaltanti non ritengano di organizzare detti servizi ricorrendo a forme di co-programmazione e/o co-progettazione, (Linee guida n. 17 recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali” del 27 luglio 2022 dell’Autorità nazionale Anticorruzione, con valore non vincolante).
Secondo l’Anac sono estranee all’applicazione del Codice degli appalti, anche se realizzate a titolo oneroso: a) le forme di co-programmazione attivate con organismi del Terzo settore previste dall’art. 55 del Cts realizzate secondo le modalità ivi previste.
Anche il nuovo Codice degli appalti (D.lgs 36/2023) interviene sull’argomento contemplando all’articolo 6 la possibilità per gli Enti Locali di stipulare con gli Ets per attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa privi di rapporti sinallagmatici nelle forme previste dal Codice del Terzo settore, non rientrando nel campo di applicazione del codice.
Ma cosa significa “a valenza sociale”? Forse solo le attività di cui all’art. 5, comma 1 lettera a) del 117/2017 -i servizi sociali- oppure tutte le attività di interesse generale?
Sempre il medesimo articolo del Codice appalti prevede che l’attivazione dell’amministrazione condivisa avvenga in base “al principio di risultato”, scandito all’art.1, imponendo un onere della prova a carico di tali processi e fornendo alle imprese in concorrenza uno strumento per contestare all’ente locale un avviso di co-progettazione, pubblicato senza la comprovata attestazione che esso risulti migliore rispetto all’appalto.
Al netto, comunque, dei dubbi interpretativi dell’articolo 6 del codice appalti è il soggetto pubblico che può decidere di valorizzare il principio della tutela della concorrenza degli operatori economici all’interno di un mercato pubblico regolato, ricorrendo, dunque, al codice appalti o, in alternativa, il principio di sussidiarietà orizzontale, unitamente ai principi dell’evidenza pubblica, propria dei procedimenti amministrativi ricorrendo a quanto disposto dall’art.18 del Dlgs 201/2022 che rinvia al Cts.
Quando è già definito il progetto di intervento sociale o è ragionevolmente stabile nel tempo si opterà per la competizione al fine di stabilire il soggetto che lo realizzerà alle migliori condizioni; quando, invece, non lo è e c’è la necessità di definirlo o sono attese revisioni in itinere si sceglierà la collaborazione. Come del resto si sceglierà la prima strada quando l’ente pubblico ha già tutte le risorse per realizzarlo al fine di allocarle nel miglior modo possibile e la seconda quando è necessario il soccorso finanziario del Terzo Settore.
Nell’ambito di una procedura d’appalto è l’ente pubblico a definire sostanzialmente tutto, ad eccezione dello spazio, lasciato dagli atti della procedura, al contenuto dell’offerta dell’operatore economico concorrente.
Il rapporto di collaborazione sussidiaria, che connota gli istituti del Cts, è – per tutta la durata del rapporto contrattuale/convenzionale – fondato sulla co-responsabilità, a partire dalla co-costruzione del progetto (del servizio e/o dell’intervento), passando per la reciproca messa a disposizione delle risorse funzionali al progetto, fino alla conclusione delle attività di progetto ed alla rendicontazione delle spese.
Fondamentale “chiave di volta” – la definisce il Tar Puglia – Lecce, sez. II, 30 dicembre 2019, n. 2049 – è l’aspetto della motivazione: spetta alla Pa motivare in forma logica, razionale, coerente, non distonica con il panorama legislativo di riferimento la scelta dello strumento e delle procedure da “mettere in campo”.
Una motivazione basata ad esempio sulla qualità del servizio (grazie alla capillare diffusione, sul territorio, di enti del terzo settore), nonché sulla riduzione dei costi, sfugge al sindacato giurisdizionale, costituendo esercizio non irragionevole della discrezionalità amministrativa.
L’articolo 18 del D.lgs n. 201/2022 sotto questo profilo, infatti, al secondo comma chiarisce ulteriormente i contorni dell’onere motivazionale per servizi a rilevanza economica prevedendo che la scelta di attivare rapporti di partenariato con gli ETS deve essere motivata, nell’ambito della relazione di cui all’articolo 14, comma 3, con specifico riferimento alla sussistenza delle circostanze che, nel caso concreto, determinano la natura effettivamente collaborativa del rapporto e agli effettivi benefici (non si fa riferimento sic et simpliciter al vantaggio economico derivante dalla scelta di tale istituto) che tale soluzione comporta per il raggiungimento di obiettivi di universalità, solidarietà ed equilibrio di bilancio, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento.
Prima dell’affidamento occorrerà, dunque, per effetto del richiamo che il comma 3 dell’art.14 fa al comma 2 tener conto “delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, inclusi i profili relativi alla qualità del servizio ed agli investimenti infrastrutturali, della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti, dei risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili, nonché dei risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati.
Nella valutazione appena descritta, l’ente locale e gli altri enti competenti tengono altresì conto dei dati e delle informazioni che emergono dalle verifiche periodiche di cui all’articolo 30 -Verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali-.
La norma, dunque, in maniera del tutto innovativa, definisce la co-progettazione e la co-programmazione quali “modalità ordinarie” per l’attivazione di rapporti collaborativi con gli enti del Terzo settore anche nella gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
De facto, espandendo la gamma delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del D.lgs n. 117/2017, definisce i partenariati tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore quali “forme di gestione” dei servizi pubblici locali.
Individua gli enti del Terzo Settore quali soggetti abilitati e legittimati ad agire ed intervenire anche in un comparto tipicamente (e normativamente) riservato all’azione degli enti pubblici.
Il coinvolgimento degli enti del Terzo Settore nella gestione dei servizi pubblici locali, quindi, si colloca quale formula equiordinata alle altre previste dal Capo II del D.Lgs n. 201/2022.
Richiama la “rilevanza economica” dei servizi pubblici da realizzarsi in collaborazione con gli enti del Terzo settore, coinvolti, dunque, in settori che implicano una certa capacità imprenditoriale e di intervento.
Il terzo ed ultimo comma dell’articolo 18 contiene un’importante indicazione operativa: decreta l’inapplicabilità delle previsioni contenute nei primi due commi “nelle ipotesi in cui le risorse pubbliche da mettere a disposizione degli enti del Terzo settore risultino, complessivamente considerate, superiori al rimborso dei costi, variabili, fissi e durevoli previsti ai fini dell’esecuzione del rapporto di partenariato”.
Questi ultimi, dunque, non potranno determinare la corresponsione di utili, ovvero di somme che eccedano il rimborso dei costi, fissi e variabili, connessi al rapporto medesimo.
Nel Dossier del Senato sul Riordino della Disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica -AG 3, 22 novembre 2022- si legge che il terzo comma riecheggia il meccanismo convenzionale e la relativa disciplina dei rimborsi prevista dagli articoli 56 e 57 del Codice del Terzo Settore per gli ODV e gli APS, estendendolo a tutto il Terzo settore e dunque anche alle Fondazioni: ricomprendere tra i rimborsi delle spese anche il lavoro svolto dai componenti dell’ETS; in pratica non assenza di corrispettivo a carico dell’amministrazione bensì assenza di profitto per i soggetti affidatari dei servizi.
Si precisa, comunque, per tutti gli Ets, e dunque anche per le Fondazioni che il Codice del Terzo Settore prevede espressamente la “non lucratività” (ai sensi dell’art. 8 intitolato “divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili, nell’ambito dello svolgimento delle attività di interesse generale”). Ciò in linea anche con quanto stabilito dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020 già richiamata che afferma che l’assenza di fini di lucro nello svolgimento di servizi di interesse generale da parte degli Enti del Terzo settore consente il loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica in un modo del tutto nuovo: attraverso un reinvestimento degli eventuali utili in ulteriori attività sociali.
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[1] L’art. 4, comma 6, Legge n. 135/2012, c.d. “Spending Review” espressamente prevede che: “A decorrere dal 1° gennaio 2013 le Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da Enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42 del Codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli Enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell’istruzione e della formazione [omissis]”
[2] In Dossier XIX Legislatura “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” A.G. 3 ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 agosto 2022, n. 118. La sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 sottolinea come l’art. 55 del Cts realizzi per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria, realizzando “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.”. La Corte ritiene che in tal modo si instauri, tra i soggetti pubblici e gli ETS, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la ‘co-programmazione’, la ‘co-progettazione’ e il ‘partenariato’ (che può condurre anche a forme di ‘accreditamento’) si configurano come fasi di un procedimento complesso, espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico (contratto a prestazioni corrispettive). Il modello configurato dall’art. 55 Cts, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”.
[3] L’apertura del decreto sui servizi di interesse generale al terzo settore si estende anche ulteriormente a specifiche forme di enti (non alle Fondazioni): le organizzazioni di volontariato (ODV) e le associazioni di promozione sociale (APS) ovvero a quanto stabilito dagli articoli 56 e 57 del Codice del Terzo Settore.